Riflessioni sui dialetti
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I dialetti dell’Italia si caratterizzano come sistemi linguistici autonomi che si contrappongono alla lingua ufficiale, comprensibile a livello nazionale grazie al fatto di essere stata istituzionalizzata e regolata. Un procedimento, questo, che nel caso italiano è stato applicato a ciò che in precedenza era esso stesso un dialetto, il fiorentino toscano. In Italia esistono numerosissimi dialetti parlati in porzioni ristrette di territorio e soltanto in esse: è quanto accade anche per il dialetto di Erto, l’ertano. Il dialetto forse non soffre il fatto che le sue regole – trattandosi di sistemi linguistici veri e propri anche i dialetti possiedono strutture fonologiche, sintattiche e lessicali – non siano messe per iscritto come è avvenuto invece per l’italiano standard. I dialetti, infatti, sono diversi dall’italiano anche per la loro forza eversiva, viva e mutevole che non sempre può essere contenuta nelle formule fissate dalla grammatica. Lo vediamo nel caso dell’ertano: esso è tanto più vitale e in qualche modo reale quanto più viene parlato dalle persone che se ne servono quotidianamente, spesso “italianizzando” alcune parole dialettali o viceversa ricreando in dialetto alcuni termini italiani, senza che vi sia una regola descritta in termini categorici o, almeno, senza che essa sia stata studiata e identificata appunto come regola. La particolarità dei dialetti risiede poi nel fatto che esistono dei vocaboli intraducibili in italiano, applicabili e riconoscibili solo all’interno della comunità linguistica di cui fanno parte: la “theròsega” – che l’Ecomuseo Vajont da alcuni anni celebra tra la fine dell’anno e l’inizio di quello nuovo – si riferisce alla protagonista di un racconto ertano ambientato nel periodo delle feste natalizie ma la sua traduzione non è propriamente né “Befana” (personaggio riconosciuto in tutto il territorio nazionale) né “strega” (un modo più generico e negativo di caratterizzare una vecchia signora che vola su una scopa come la Befana). Oggi si assiste ad una positiva rivalutazione dei dialetti, in passato giudicati in modo sfavorevole come segno di condizione sociale bassa e poco scolarizzata. Al contrario la tendenza odierna è quella di considerare i dialetti portatori della storia e della cultura di una determinata comunità, di cui rappresentano una risorsa linguistica preziosa proprio perché alternativa alla lingua ufficiale delle istituzioni, anche di quelle scolastiche. I dialetti devono essere conservati e protetti come patrimonio linguistico, ma più che attraverso l’analisi e lo studio astratti, questo va fatto continuando a utilizzare i dialetti nei contesi abituali di tutti i giorni, trasmettendoli e veicolandoli all’interno delle comunità dove di essi si fa un uso concreto, imparando filastrocche, canzoni, poesie, racconti dove la parlata locale si è espressa anche nella forma scritta. La complessità dei dialetti permette alle comunità linguistiche in cui sono nati di essere salvaguardati e valorizzati seguendo la loro natura peculiare e originale, lasciandola libera dagli appianamenti e dalle rigidità che le regole grammaticali spesso necessariamente impongono ai sistemi linguistici.