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Località Moliésa
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Moliésa (Fimoliésa)
I lavori relativi alla costruzione della diga durarono dall’estate del 1957 al mese di settembre del 1960, con la presenza media di 400 maestranze tra tecnici e operai. Gli inerti, per la preparazione del calcestruzzo, erano prelevati dal greto del Piave, in area adiacente alla frazione di Vajont di Castellavazzo e trasportati con una teleferica lunga 1410 metri, agli impianti di betonaggio del cantiere, posti in posizione sopraelevata rispetto al coronamento della diga. Un’ampia area della località Moliésa, in destra orografica e a monte del coronamento, fu utilizzata per collocare gli uffici, alcune abitazioni dei tecnici e gli alloggiamenti del personale. Qui viveva una settantina di persone addette alle strutture, al funzionamento dell’impianto, al controllo del movimento franoso. Di esse, una sessantina perse la vita la sera del 9 ottobre 1963. Durante l’invaso del bacino, prima che l’acqua raggiungesse la quota del ponte Colombèr, furono rimosse e recuperate le parti interne ed esterne dell’antica chiesetta dedicata a Sant’Antonio da Padova, con l’intenzione di ricostruirla in prossimità del cantiere.

Nel 1967 una nuova chiesetta fu edificata in prossimità del coronamento, a ricordo dei dipendenti dell’Enel e dell’impresa Monti di Auronzo di Cadore scomparsi, nonché dei sei operai periti durante la costruzione della diga. Moliésa, Fimoliésa in cassano, è la zona sottostante l’abitato di Casso, compresa anche l’attuale palestra di roccia, Làndre di Fimoliéśa che riparò il paese dall’onda del Vajont, il 9 ottobre 1963. Qui si insediò il cantiere per la realizzazione della diga, nel quale lavoravano due persone di Casso: Bernardino (Dino) De Lorenzi e Maddalena Manarin che perirono nella notte del disastro e che non sono mai state ritrovate. Di Erto, persero la vita Felice Corona, Daniele Fortunato Filippin, Antonio Giuseppe Martinelli e sei persone della famiglia che gestiva il bar da Bepìno. Caratteristico il sentiero che saliva all’abitato di Casso, parzialmente ancora visibile, costituito da una rude gradinata scavata nella roccia, denominata Scalàt. Questo sentiero era molto frequentato da persone e animali per il trasferimento da Casso al Toc e viceversa, nonché per raggiungere a piedi la statale della Valcellina. Molto suggestivo era anche l’attraversamento sul noto ponte del Colombèr.

Ho lavorato come cuoca della SADE, nel cantiere della diga, dal febbraio del 1962 al settembre del 1963. Ho iniziato a lavorare nella baracca dell’ufficio Montaggi. La mensa e la cucina erano nella zona del cantiere, nella parte più bassa. Si trattava di un grande edifico in legno. Nella sala principale c’erano i tavoli da entrambi i lati, in fondo c’erano la stanza dove dormivamo noi cuoche, i servizi e una cameretta dove avevano preparato quattro o cinque letti. Lì dormivano, ogni tanto, i tecnici che venivano da fuori per fare gli studi o altri lavori che dovevano svolgere. La mia baracca era a pochi metri dalla sponda del lago. Quando Donè Martinelli mi portava il pane, che lo portava anche su a Casso, mi diceva “Eh ben, Angelica, sei brava a stare qua!” perché sapeva che avevamo paura del lago. … Io avevo qualche giorno di riposo, ma o io o Dolores dovevamo sempre essere là perché dovevamo mandare le cassettine col pranzo agli operai del fondovalle. La sala comandi era sull’altra sponda della valle. Nella sala comandi si entrava e al piano terra c’era il montacarichi, mentre al primo piano c’erano il centralino dove lavorava Dario De Tofol, i controlli della diga e una grande vetrata. Il montacarichi ti portava a metà altezza della forra, poi un altro ascensore ti portava in fondovalle.


Testimonianza di Angelica De Damiani

Zona del cantiere con la Diga

In quella valle, paesi come Erto, Casso, Cimolais e Claut divennero molto importanti per me. I contadini oltre a essere potenziali clienti, avevano molto bestiame, specie nei pascoli del monte Toc, di Prada e Pineda e questo rappresentava per me un’importante risorsa. Erano tempi, infatti, in cui un macellaio doveva approvvigionarsi delle carni andando nelle stalle, nelle malghe per acquistare direttamente gli animali, poi doveva macellarli e lavorarli. … A Erto, poi, tra il 1960 e 1961 mi trovai a gestire anche la macelleria del paese, il proprietario Pezzin Pietro detto “Giga” aveva dei problemi di salute e doveva sottoporsi a cure importanti. … Ero anche riuscito a ottenere la fornitura di due imprese che gestivano i lavori per la
costruzione della diga del Vajont su al Colombèr, proprio sul confine delle due regioni. Una di queste era la SADE, poi diventata ENEL ufficio lavori, e l’altra la Consonda. Rifornivo di carne le loro mense che davano da mangiare a oltre una cinquantina di tecnici e operai. … Quando mi recavo al cantiere portavo la carne anche al ristorante di Beppino e il figlio Olivo e
ad alcune famiglie di tecnici che lavoravano e vivevano nelle villette sopra la diga. In questo modo arrivai a conoscere quasi tutti su al cantiere. Con loro spesso capitava di parlare della grandiosità di quella diga così imponente.

Testimonianza di Giuseppe Vazza