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Borgate Ornérs – Cèva – Marzana
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Le borgate di Marthàna, Cèva e Ornérs si trovano ai piedi del monte Certen Thérten, di fronte al paese di Erto. Prima del riempimento del bacino, queste località venivano raggiunte percorrendo le mulattiere, che attraversavano il torrente Vajont, su precari ponti di legno. A seguito dell’innalzamento del lago, la SADE realizzò la strada circumlacuale, costruendo anche il ponte Therentón in calcestruzzo, sulla gola del Vajont e distrutto la notte del 9 ottobre 1963. I suoi resti sono ancora visibili all’interno della forra, a dimostrazione della forza dell’onda. Solo dopo oltre quarant’anni è stato ricostruito con i fondi dell’indennizzo seguiti alla vertenza contro l’Enel. È stato inaugurato il 19 luglio 2008. Tutto il fondovalle, fino al livello del lago, era stato espropriato come le borgate dei Mulini, Piancuèrt, Spianàda e Marsciadànt. Fra la località Marthàna e Al Cógol c’è una zona pietrosa denominata al Perìat dove, proprio a destra e a sinistra, ogni inverno, scendono dal monte Thérten due grandi slavine: una chiamata Valòr e l’altra Cogolìt. Nel passato, quando la neve cadeva abbondante, queste raggiungevano il fondovalle unendosi a quella che scendeva dal lato opposto detta del Scialderón. In Marzana l’abbondanza di neve attirava molti sciatori ertani che battevano le piste fino al fondovalle. In queste località, le abitazioni con le annesse stalle erano stagionali; durante l’inverno, invece, le famiglie rientravano in paese. I proprietari, d’estate, si occupavano della fienagione e accudivano il bestiame. Giovanni, Nani de Giambonìn, la notte della catastrofe probabilmente era da Giuseppe, Bepi de Milào. Come si erano accordati, quella sera Bepi accese il lume davanti alla stalla. Era il segnale che la mucca stava per partorire. L’uno aiutava l’altro e così forse la morte li ha colti insieme. Le Vittime furono nove: una in Marzana, una in Cèva e sette presso Ornérs, tra cui anche Ferruccia, una bambina di soli quattro anni. Valentina Sartor Panéc’ fu l’unica vittima ritrovata.

Ero arrivato da poco dalle ferie. La sera del 9 ottobre mi trovavo al bar, stavo assistendo ad una partita di carte tra paesani, ricordo che c’era Patrizio e Piare de Pec’. Verso le 10.30 sentimmo un piccolo boato, la luce traballò due o tre volte, seguì un secondo terribile boato e questa volta mancò la luce. La prima volta non ci venne in mente subito la frana, se non quando sopraggiunse il secondo boato e si ripeté a lungo. Patrizio disse: – Il Toc è caduto. Andai sotto casa mia e sentii una specie di vento e delle gocce d’acqua. Mi avviai verso il municipio, mi unii a Rico de Dhan e a Balilla e cominciammo a guardare al di là del lago perché c’era un gran silenzio, ma non si poteva vedere nulla. Personalmente tentai di arrivare a Marzana in auto per vedere di mio padre. Arrivato a San Martino trovai i primi ostacoli: cespugli e fili di corrente elettrica. Abbandonai l’auto e incontrai il dottor Gallo con Tonin de Batòcio. Io e Tonin ci avviammo verso la chiesetta per la mulattiera; realmente vedemmo che mancavano le case di Piarùci e Buràcia – Cionciàile. Giungemmo alla curva: mancavano la chiesetta e le case intorno. Intanto franò un altro pezzo di montagna e ci consigliarono di scappare. Ci dirigemmo dalla famiglia Bau e Franz, visto il pericolo del continuo franamento proseguimmo verso il Col dal Castel e per il sentiero arrivammo a San Martino di sopra. Dalla zia, apprendemmo che Maucàn si era salvata; si trovava da Nena de Pascóne, ancora bagnata e piena di fango. Ritornammo ad Erto; in piazza c’era molta gente e i bar erano al lume di candela. Eravamo come paralizzati, non si sapeva cosa realmente fosse successo, non si sapeva niente delle frazioni intorno, si presumeva… Visto che dalla parte del lago non si poteva andare, io, Rico e Balilla provammo ad avviarci verso Patata, ma al bivio Sciastòn dovemmo fermarci. Tornando indietro, provammo a chiamare mio padre stando davanti alla casa di Batòcia. Nessuno rispose. Sentimmo dei lamenti e delle urla in Pineda. Vedemmo la luce di una lampadina tascabile che partiva da Lirón, in direzione di Céva. Era Donè, si trovava in Lirón con il bestiame, chiamandolo lo pregai di arrivare in Marzana a vedere di mio padre. Mi disse di sì, ma probabilmente vedendo che non c’erano più le case tornò indietro. Tentammo nuovamente di raggiungere Marzana per San Martino, ma il ponte Therentón non c’era più. Lasciai l’auto sulla costa del Savalón con i fari rivolti verso le frazioni che erano di fronte ad Erto, si vedeva qualcosa: era solo nuda croda, non ci si rendeva conto che l’acqua fosse arrivata fin lassù. Tornammo in paese ad aspettare l’alba. Il dottor Gallo mi disse che la gente andava avanti e indietro, in qua e in là, spaurita e disperata come animali feriti. La mattina del 10 ottobre, ci rendemmo conto della sciagura. Fu uno spettacolo orribile, impossibile a descrivere, dove c’erano prati e campi, si vedeva solo melma e ghiaia. Le case strappate con la nostra gente… Su ogni volto c’era la disperazione. Vidi Marzana e capii subito che cosa era successo. Io, pur nella mia disgrazia, cercavo di sollevare il dolore di Cate de Braga e di Piarina che si tirava i capelli. Invano, per tutta la notte aveva chiamato la sua Ferruccia. Non si capiva più nulla. Cominciammo a telefonare per dare e avere notizie. Un uomo giunse ad Erto da Longarone, attraverso il sentiero di Sant’ Antonio ed apprendemmo che del paese a valle non c’era più traccia. Andammo verso Patata, vedemmo il cadavere di una donna nuda e intrappolata sotto una persiana: era Angelica, moglie di Guerrino.

Testimonianaza di Filippin Giacomo – Milào