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Borgate Frasèn
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La località Fraséign era situata sul sentiero che univa gli abitati di Erto e di Casso, circa a metà
strada. Era composta da un gruppo di nove casère con relative stalle, corrispondenti a nove famiglie che le utilizzavano prevalentemente nella seconda metà dell’autunno. C’era una latteria turnaria, la casìna, presso la casèra di Pasqua Mazzucco (Giarvàsi).
Nei mesi di novembre e dicembre, persone e animali si trasferivano dal Toc a Fraségn. Quando il foraggio era esaurito, ritornavano a Casso per rimanervi fino a marzo.
In primavera si ripeteva il percorso inverso, lasciando il paese per ritornare nella zona del Toc, dove ogni famiglia aveva un’altra casera con attigua stalla per il bestiame.
Qui rimaneva fino al 7 giugno, quando risaliva sulle malghe alpine, a menà le vache in mont.

Il nove ottobre 1963 sono decedute tutte le 14 persone presenti, appartenenti a otto famiglie. Solo due sono state ritrovate: Emilia Manarin e Antonia Manarin.

Val dal Luóc
La zona era attraversata dalla strada carrabile che saliva dal bivio in località Al Cristo e arrivava a Casso. A seguito della costruzione della diga, la strada statale è stata realizzata ad una quota maggiore e quindi il relativo bivio era situato nella località La Vara e Géseta. Vi abitavano stabilmente tre famiglie. Esistevano tuttavia, in zona, altre 4 – 5 casère, abitate solo saltuariamente. Dalla Costa del Luóc partivano due teleferiche: una in salita si collegava con la parte alta del Toc; una in discesa, si collegava con la parte bassa.
Da notare che la famiglia Fatér (zattieri) ricorda l’antico mestiere esercitato nella fluitazione del legname.

A seguito del disastro del Vajont sono morte undici persone e solo un corpo è stato ritrovato, quello di Giovanna De Lorenzi.

… Il sonno arrivò subito dopo e dormivo da pochissimo quando un’onda gelida spalancò la finestra, mi ritrovai in piedi ancora addormentata, impietrita, in un boato allucinante, sentivo la nonna che urlava: ”E’ la fine del mondo, è la fine del mondo… scappa tu che io sono vecchia”. Povera nonna, con quelle forze che le rimanevano da tante tragedie passate, trovò ancora l’energia di mettermi sulle spalle un bastin, quelle stoffe trapuntate che mettevano sotto le gerle e cercò di spingermi. Io ero paralizzata. Aprì la porta della nostra camera, mio fratello Luciano, anche lui mi diceva: “Scappa, scappa”. Colse il mio sentirmi perduta, mi prese per un braccio e mi accompagnò fin sulla porta che dava sul retro, la spalancò e mi spinse letteralmente fuori. “Penso io alla nonna” – diceva. Tutto si svolse in frazioni di secondi, solo nella mia memoria sono incisi come attimi lunghissimi, visti al rallentatore e con un’impronta di eternità. … Ero agitatissima, non potevo dormire; e così nella notte fonda ho sentito l’urlo straziante di mio fratello Luciano, ha urlato solo: “Nonnaaaa” prima di arrivare alla casa, lì ho capito che mia mamma non c’era più. Nessuno mi ha mai detto direttamente guarda che tua mamma è morta. L’ho appreso da sola, come un dato di fatto, nei giorni successivi. Ma è stato quell’urlo a crearmi il panico. Luciano era tornato da Fraségn con le scarpe disfatte, era andato sopra le rocce, il sentiero non c’era più e aveva camminato nella melma, nel fango, alla ricerca di quella casera. Non c’era più nulla.

Panoramica prima del disastro
Dopo il disastro

“In piazza, sotto il noghèr il noce, ho trovato Osvaldin de Canceliér che ha perso tutti, il papà, la mamma. Siamo scesi insieme a Frasén. … Quando siamo arrivati si è messo a urlare, voleva buttarsi, quasi copàsse, suicidarsi. Mi aveva fatto prendere paura, se sentivi come urlava, urlava, chiamava papà, mamma. … Io avevo 17 anni. Era rimasta un po’ di strada, appena sotto la costa. La famiglia Thatèr… se erano spariti lì, figurati più sotto. Arrivato, ho visto il colle nudo. Mia madre era ancora più sotto. Ho pensato: Mia madre è morta, non c’è più nessuno. Sono arrivato proprio dove c’era la casera, ho visto il muro, i sassi. Scendendo pensavo che ero rimasto solo. Sentivi l’acqua che scorreva. C’era tutta una melma. … Io non solo salito sull’elicottero, sono sceso con lo zio Checo, a Longarone, con la speranza di trovare qualcuno. Sono passato tra i morti. Io ho visto: morti, morti, morti. Passavi sui morti. IlPiave era un rigagnolo con poca acqua, vedevi bestie gonfie, cadaveri intatti o gonfi… Io avrò visto mille cadaveri per cercare mia madre. … Quelli intatti li riconoscevi, altrimenti mi mostravano degli oggetti, qualcosa. Trovare qualcosa di mia madre sarebbe stato bello. La speranza di ritrovarla viva l’avevo persa non appena avevo visto la desolazione a Fraségn. Mi era rimasta la speranza di vederla da morta, pensavo che fosse stata sobbalzata e portata a Longarone.”

Testimonianza di Luciano Mazzucco