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Il toc
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Pian de Sot
Località situata sul Toc, ai margini della frana, presso lo sbarramento della diga, in sinistra orografica. Venne distrutta dall’onda di riflusso il 9 ottobre 1963. Vi abitava una famiglia di Casso, composta dai coniugi Carmela Manarin e Fulvio De Lorenzi, deceduti quella notte e mai ritrovati. Nonostante le avvisaglie della frana, non vollero ritornare in paese, ritenendo di essere al sicuro lì, in quanto la loro casa era costruita sulla solida roccia.
Toc
La parola toch, in dialetto cassano, si utilizzava prevalentemente per indicare un appezzamento di terreno. Siccome il territorio del Toc è stato attribuito al paese di Casso, in tempi successivi (Secolo Diciottesimo), è plausibile che il nome Toc indicasse specificatamente il nuovo territorio acquisito, che antecedentemente si chiamava Ranž, Ranf (in cassano). Il Toc, situato sulla sinistra orografica, rispetto al torrente Vajont, si estendeva longitudinalmente da est (località Ortìghe) a ovest (località Nèlve), per una lunghezza di circa due chilometri, con vasti pendii e avvallamenti prativi, adatti all’agricoltura. Tutto il Toc era attraversato da un sentiero principale chiamato Stradon che partiva dalla località Nèlve ed arrivava fino alla località Ortìghe, limite del territorio di Casso. Durante l’estate era abitato, a periodi alterni, per la fienagione. Erano funzionanti quattro latterie turnarie.

A partire dal 7 settembre rientrava il bestiame dall’alpeggio per essere sistemato sul Toc fino a novembre. I bambini, affrontavano giornalmente il percorso dal Toc a Casso, per andare a scuola.Oltre alla fienagione, venivano effettuate anche la raccolta delle patate e dei fagioli e il taglio della legna. Le attività lavorative riprendevano sul Toc i primi giorni di marzo, dopo il periodo invernale trascorso a Casso. Si protraeva fino al 7 giugno, quando il bestiame veniva ricondotto in alpeggio. Nel mese di agosto, era consuetudine la raccolta dei mirtilli, giàsene, sul monte Fasèi sulla parte alta del Toc, dove pascolavano anche un centinaio di pecore, per tutta l’estate. Invece le capre venivano tenute presso le famiglie per utilizzare il latte, in sostituzione di quello delle mucche che erano in alpeggio. All’inizio dell’autunno, i ragazzi, con l’aiuto degli anziani, praticavano l’uccellagione costruendo un’infinità di trappole (archét), che piazzavano vicino ai cespugli, in prossimità dei boschi. La zona del Toc era ricca di alberi da frutta: ciliegi, meli, peri, susini e noci.

Quella sera ero stanco perché arrivai dal Toc molto tardi, verso le dieci e trenta circa. Infatti, siccome avevano dato l’ordine di sgomberare il Toc, avevo lavorato tutto il giorno per preparare la roba per l’indomani, quando sarebbe venuto il camion a caricarla per portarla a Casso. Venendo via dal Toc, passai da Fulvio e Carmela per convincerli a venire in paese, ma loro erano decisi a rimanere lì. Lasciai da loro il mio maiale perché eravamo d’accordo che l’avrebbero tenuto fino a novembre, per poi dividerlo a metà quando lo si avrebbe ammazzato. La loro casa si trovava proprio nella zona sovrastante il muro della diga. Furono le sole persone a rimanere sul Toc quella spaventosa notte; infatti tutte le altre, prima di sera, avevano già sgombrato ed erano arrivate a Casso portando le mucche e tutto quello che avevano potuto trasportare. Proseguendo versoCasso, arrivai in Fimoliésa e là incontrai il capocantiere De Prà ed il brigadiere. Mi chiesero se su per il Toc ci fosse pericolo. Io risposi che lassù “tutto camminava” piante e terreni, sembrava di camminare sull’acqua. Passai poi per il bar di Bepino e gli chiesi perché non se ne andasse. Mi rispose con queste parole: – Mi avvertiranno, no, quando ci sarà pericolo. Poi arrivai a Casso. Avevo già cenato sul Toc e quindi stavo togliendomi le scarpe per andare a dormire. Ad un tratto sentii un tremendo botto. Le luci si spensero, mia moglie e mio figlio che erano a letto, piombarono in cucina, ancora svestiti. Decisi di uscire per vedere cosa era successo. … Io, verso le tre di notte, in compagnia di Svaldin Canfeliér ed altri, andai in località Fraségn passando per la costa perché la mulattiera de Rui non esisteva più, Fraségn non esisteva più. Le
case e le stalle erano sparite. Trovai mia sorella Milia, morta, coperta dalle macerie, nello stesso posto dove prima sorgeva la sua casa. Era rimasta una parte di muro nel quale c’era una piccola nicchia dove la sveglia di mia sorella funzionava ancora: non era stata nemmeno sfiorata dall’onda


Testimonianza di Checo Buc’

Panoramica del Toc
La frana

LUNGO I SENTIERI di Giovanni Sesso

Lungo i sentieri aspri,
vanno
i miei pensieri
tristi,
per carico di memorie,
immenso,
di sangue e macerie.
Straziate stagioni,
le ore liete
mai vissute,
chiuso orizzonte
le speranze
da quell’ottobre orrendo
al nostro
perpetuo esilio,
desolato.

Su questi monti,
cammina il pianto;
il silenzio è fermo
ad ogni anfratto
a ricordare: tremenda pietà
mi prende e turba
gli occhi
e la memoria offusca. Mi ruba, il vento
pensieri occulti
e fonde le parole
al suo brusio
pietoso sulle pietre.
Così, ogni giorno,
il dramma si perpetua,
già nero muschio

è questa cronaca di sangue, ma l’anima trafigge di dolcezze antiche e, teneramente, tace. Una segreta ansia
Preme e saledagli sconvolti abissi:
da pietre sgretolate,
ignoti volti,
a mille e a mille
e un coro sconsolato; ma pur se questo male
mi invade e mi tormenta
e dal fatale ottobre
cammino con la morte,
il fascino mi prende
ad ogni nuova aurora
che accende all’orizzonte
brividi di stelle.