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Borgata Prada
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La borgata di Prada si trova in prossimità del rio Lagarìa, sulla sponda sinistra della valle. È una delle località più belle del territorio per la ricchezza di prati semipianeggianti e di frutteti. Nessuna famiglia vi abitava stabilmente; si trasferivano qui con il loro bestiame solo da aprile a novembre, occupandosi della fienagione e della lavorazione dei terreni. La casa di Fumàt fungeva da latteria turnaria. Da Erto, la località si raggiungeva scendendo per la Cùaga e Bindi. Si attraversava il torrente su di un ponticello e poi la mulattiera proseguiva fino in Prada: qui si divideva per arrivare a Giaróna, Savéda e Lirón. I bambini frequentavano ogni giorno la scuola elementare di Erto capoluogo, affrontando qualsiasi condizione di tempo e trasportando a spalla una piccola quantità di legna per contribuire ad alimentare la stufa della propria aula. Negli Anni Cinquanta, per avere l’elettrificazione, gli abitanti si consorziarono e costruirono la linea elettrica a loro spese. Aurelio Coden, proprietario della centrale elettrica a Claut, forniva l’energia elettrica dalla cabina di Beórscia e ogni utente ne pagava il relativo consumo. A seguito del disastro, la linea fu quasi completamente distrutta e le famiglie che rientrarono nelle loro abitazioni, furono costrette a vivere a lume di candela per molti anni. Negli Anni Novanta fu erogata di nuovo l’energia elettrica: erano però trascorsi trent’anni dalla catastrofe. In Prada, oltre alle case, furono gravemente danneggiati anche i terreni. Nove furono le Vittime e nei giorni successivi al disastro ritrovarono solo i coniugi Angelica e Fortunato Filippin.

Vai a letto che quelli del Colombér stanno in guardia e sapranno il da farsi. Mi ero appena addormentato quando sentii una specie di terremoto, mi alzai di scatto e accesi la luce. Subito intuii che era franato il Toc. Mentre infilavo i pantaloni, mancò la luce e arrivò una grande ondata che aveva già spazzato via le case più basse di Prada. Feci per scendere le scale, l’acqua mi arrivava fino a metà corpo. Mia sorella si trovava nel corridoio e mi disse: – Siamo morti. Io rimasi in silenzio; sentii l’acqua che scendeva, aprii la finestra e vidi solo alberi che galleggiavano sull’acqua dietro la casa. Aspettai ancora un po’ quindi scesi dalla finestra poichè in casa c’era ancora acqua. Salii verso il prato, poi mi ricordai di Magaréta. Ritornai in camera entrando dalla finestra, la presi in braccio perchè era svenuta. Uscii camminando sopra i tronchi d’albero che erano incastrati dietro la casa e la distesi sul prato. Poco dopo rinvenne e cominciò a piangere disperata. Dalla strada, in lontananza, vidi i fari di un’auto in sosta sotto Mela, mi avvicinai però era abbandonata. Fu proprio con la luce dei fari che vidi che mancavano le case sottostanti la mia. Erano rase al suolo e si vedevano ancora le onde alzarsi di decine di metri. In dieci minuti, tutte le persone dei dintorni si erano radunate insieme ai loro familiari rimasti vivi, vicino alla casa Mela. Io, assieme ad altri, raccolsi delle fascine e accesi un fuoco per scaldare noi e i bambini; poi ci avviammo in cerca di superstiti verso Marzàna. Trovammo solo tronchi d’albero e fango. A Erto, ogni tanto, si udiva il motore di qualche auto. Sentimmo mia sorella che chiamava Magaréta, pensava che io non fossi rientrato da Montereale. Io le risposi e lei mi chiese se eravamo tutti vivi, io le dissi di sì anche se sapevo che c’erano dei morti. Sul Toc si sentivano ancora le rocce che cadevano nel lago. Ci eravamo accorti che mancavano le Spesse, parte di San Martino e Pineda e che, dove c’era il buco della valle del Colombèr, era pieno di fango. Fra i rumori si sentiva quello di una sirena e immaginammo quanta gente fosse morta anche a Longarone. Tornammo da Mela assieme agli altri e aspettammo l’alba; ci rendemmo così conto della gravità del disastro. Quando spuntò il sole, guardando verso Erto ci chiedevamo come fosse stato possibile: era una cosa orribile. C’era tanta ghiaia, tanto materiale e tanti sassi. Poi verso le quattro arrivò una barca che veniva dal Giavàt (Le Spesse) e arrivò nella Val di Fortunè. Ci chiesero se qualcuno voleva salire fino a Erto. Salimmo io, Franca de Benéto con i suoi due figli; la bambina che era più piccola la tenne lei e il bambino lo presi io, in braccio. Ci mettemmo tutti il salvagente perché le onde e il legname che galleggiavano nell’acqua facevano spostare la barca in qua e in là. Arrivai a Erto, presi alcune cose che sarebbero servite ai superstiti e ripartii subito senza neanche avvisare i miei altrimenti non mi avrebbero dato il permesso di tornare in Prada. Alla sera ci riunimmo nella casa di Mela, dicemmo il rosario e andammo a dormire nel fienile perché la casa era ancora bagnata.

Testimonianza Della Putta Bortolo – Fràmbol

Un abbraccio mentre a piccoli passi ci avviamo verso casa, la nostra casa.
Un mondo di affetti, di sorrisi, di piccoli e grandi gesti quotidiani, di un fuoco acceso, di racconti, di promesse. E domani è un altro giorno e facciamo progetti.
Abbiamo guardato le stelle prima di chiudere a chiave la porta. Non sapevamo che per noi avrebbero brillato per l’ultima volta.
Dopo quarant’anni quella chiave è tornata alla luce nel boschetto accanto alla casa spazzata via dalla furia dell’acqua. Oggi, appesa su una bianca parete, apre solo la porta del ricordo e della Memoria.