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- Borgata Le Spesse
Le Spesse è il nome ufficiale della frazione, anticamente era denominata Còl de la Rùava o anche Patata, probabilmente dal soprannome di una famiglia del luogo.
Fino ai primi anni del Novecento, la borgata era attraversata dalla mulattiera pedonale chiamata Vecchia Postale; in seguito fu aperta la carrozzabile per la forra del Colombér e Longarone.
Le vittime furono 67, contando anche Fortunato Filippin Thénto e Antonio Giuseppe Martinelli, deceduti sul posto di lavoro presso il cantiere della diga. Solo Angelica Filippin fu ritrovata subito mentre nel 1966, durante lo svuotamento del lago, riemerse la salma di Clementina De Marta. Tutti gli altri non ebbero sepoltura. Fu invece risparmiata la contrada situata più in alto dove si salvarono poche famiglie.
La parte bassa del borgo, compresi i ruderi dello storico mulino e la segheria che funzionavano con la sorgente denominata Èga dal Molìn, era stata espropriata in seguito alla costruzione della diga e del conseguente invaso. Sulla strada che proseguiva verso la località del Colombér e Longarone esisteva un piccolo nucleo abitativo, questo luogo è indicato col nome Al Crist. Con l’esproprio, alcune famiglie si trasferirono lontano dal paese, solo la famiglia di Pietro e Giuseppe Filippin Maghét scelsero di rimanere alle Spesse costruendo le loro case in una zona più in alto, ma inutilmente perché l’onda le spazzò via.
Alcuni abitanti si salvarono perché lavoravano lontano; fra questi Osvaldo Filippin Benéto che si ritrovò solo, con la valigia in mano e subito, con grande coraggio e la solidarietà dei compaesani, ricostruì la casa accanto ai pochi resti di quella portata via dalla ferocia dell’acqua, per abitarvi nel 1965, in seguito al matrimonio con la signora Albina.
Insieme, per molti anni, gestirono il bar che nel tempo rimase come punto di riferimento e di ricordi. Proprio davanti all’abitazione, si erge il sacello a memoria di tutte le Vittime, inaugurato il 23 maggio 1964.
“… non so cosa mi aspettassi, forse un piccolo segno di vita, magari solo un filo d’erba… ma l’onda aveva spento ogni soffio di respiro, cancellato ogni cosa trascinando con sé anche le macerie, ma la cosa che più colpiva e disorientava era la quiete… quel silenzio assoluto, solenne, vedevo papà che mi parlava ma udivo la sua voce lontana, ovattata… e papà vicinissimo mentre finge di frugare nelle tasche e con voce che tradisce l’emozione mi chiede: “le asto tu le cè da dhravì iò sciàsa, o se le óne desmentigiàde? “Le hai tu le chiavi per aprire casa o ce le siamo dimenticate? Caro papà che nonostante il tuo dolore con la tua battuta sei riuscito a spezzare la tensione…
La casa di zio Chéco e la sua famiglia non c’erano più e neppure le altre case.”
Testimonianza di Doris Filippin, nella primavera del 1964 ripercorre i luoghi dei ricordi, sul Col de la Rùava.
“In paese a Erto, le strade erano affollate di gente presa dal panico e dalla disperazione. Arrivò il nostro brigadiere Antonio Zuccalà e con lui partimmo per le Spesse. Al bivio (Sciastòn), la strada era piantonata dagli uomini della S.A.D.E. Il brigadiere non si curò delle loro intimazioni e passammo dopo aver declinato i nostri nomi a quegli incaricati e disse: – Partiamo, ma non abbiamo la sicurezza di poter tornare.
Unendoci al sottufficiale, in silenzio ci avviammo. Incominciammo a trovare materassi, pezzi di mobili, serramenti, oggetti vari, piccole scarpine da bambino. Il cuore si stringeva sempre più.
Il brigadiere ci invitò a cercare eventuali corpi fra tutto quel groviglio di cose.
Non trovammo niente. Arrivammo alla via Spesse. Non c’era più nulla. Il costone che ospitava l’abitato era irriconoscibile. Avanzammo sempre senza trovare nulla.
Ad un tratto, dalla parte opposta del lago, nel grave silenzio della notte, udimmo delle voci imploranti soccorso. Nulla potevamo. Il nostro cuore aveva aumentato i palpiti fino alla follia. Continuavano i rumori provenienti dalla frana che era in continuo minaccioso movimento. Non era ancora mezzanotte.
Sempre uniti, ci proponemmo di proseguire fino in fondo, anche se non trovammo nulla, solo melma, sassi e alberi schiantati. In questa desolazione giungemmo Al Crist… Tutto distrutto.”