Perle di memoria, una gerla in spalla
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La gerla, al thestón, richiama alla memoria una gestualità che nel tempo si è perduta. Tutto era trasportato in quel grande cesto i cui spallacci di legno infierivano sulle spalle e la dopessa, come uno scialle, allontanava il contatto con la pelle. Tornano le immagini delle donne che con la gerla partivano per portare la polenta a chi falciava sui prati d’ alta montagna. Una gerla in spalla carica di oggetti di legno da vendere e sono chilometri di strade percorsi per guadagnarsi da vivere con l’antico mestiere dell’ambulante. Gerla come culla di neonato che una mamma ha portato con sé e che ripara dai raggi del sole con uno straccio tenuto sollevato da una bacchetta. Gerla è anche un carico di letame da portare nei campi, a primavera, per concimare; di prodotti della terra da trasportare a casa, in autunno; di legna per il fuoco e di burro e formaggio da trasferire dalla malga, in paese. Lungo i sentieri che portavano al torrente o al lavatoio era contenitore di panni da lavare, ma trasportavano anche sacchi di carbone, ogni viaggio era un piccolo gruzzolo guadagnato per acquistare un nuovo fazzoletto da sfoggiare la domenica, in chiesa. Una grande gerla, la brinthìa serviva invece per raccogliere il fieno rimasto nel prato e per andare a fogliame secco, utile come lettiera nelle stalle. L’artigiano è protagonista nella realizzazione della gerla. È profonda la sua conoscenza del legno da utilizzare per le varie parti del manufatto e del periodo favorevole al taglio. Sarà lui a trasmettere i suoi saperi.

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